Articolo di Davida Camorani pubblicato su ItaliaNotizie24
L’Assemblea costituente mise in stato di accusa l’allora Procuratore generale della Repubblica Massimo Pilotti per aver mancato di rispetto al Popolo italiano.
E’ di poche ore fa la notizia che la Procura di Agrigento mette sotto indagine il Ministro degli Interni. La mente a questa notizia mi porta alle letture di un particolare verbale dell’Assemblea Costituente nel quale, i nostri Padri, che rappresentavano il Popolo, misero sotto accusa l’allora Procuratore Generale della Repubblica, Massimo Pilotti.
Rileggendo i Lavori preparatori occorsi per la stesura della nostra Costituzione, si può agevolmente scoprire che il dibattito sul concedere o meno l’indipendenza alla Magistratura fu molto acceso.
I nostri Costituenti la temevano fortemente e la vedevano una minaccia alla Democrazia e al loro Popolo.
Addentriamoci pertanto nella Seduta del 6 Novembre del 1947, quando, a più riprese, riscontriamo significativi interventi del Costituente Alessandro Turco sui timori espressi nel concedere questa indipendenza per scoprirne la causa, una causa che risiedeva nel comportamento irrispettoso dell’allora Procuratore Capo della Repubblica Massimo Pilotti.
Il Procuratore era stato accusato di non aver rispettato il primo Presidente della neo-nata Repubblica Enrico de Nicola, colui che rappresentava la volontà del Popolo, un Popolo che aveva preferito la Repubblica alla Monarchia.
Ecco le testuali dichiarazioni di Alesssandro Turco:
“La funzione giurisdizionale come quella amministrativa non è funzione originaria, ma derivata ed è esercitata in nome del popolo che esercita democraticamente la sua sovranità”.
“Niente può mettere al sicuro il più giusto, il più puro, il più forte degli uomini dal trovarsi impigliato, attore o vittima, in una macchinosa vicenda giudiziaria.
Quale giudice voi preferireste per la tutela della vostra libertà, del vostro onore e dell’avvenire dei vostri figli?”.
E ancora:
“In altre Costituzioni il principio di elettività dei giudici è ammessa e riconosciuta come uno dei fondamenti del regime democratico”.
“Io non sono affatto nemico della necessaria indipendenza della Magistratura, ma affermo che, se sovrano è il popolo, nessun ordine può sottrarsi al suo volere, al suo controllo”.
“Il Magistrato è soggetto alla legge che lo difende quando la legge difende, lo colpisce quando la legge colpisce. La sua sorte di fronte alla legge è quella del comune cittadino”.
“in questo clima democratico nel quale il potere è soltanto emanazione della sovranità popolare non si può parlare di potere giudiziario, se la Magistratura pretende nominarsi, promuoversi, auto-governarsi.
Si definisca come si vuole, non si potrà sganciare dal “Unico Sovrano” che è il Popolo. Onde non può appellarsi potere un ordinamento che ha origine e natura diverse dai poteri fondamentali della Repubblica.
Se invece tale potere giudiziario si nomina da sé e diventa autonomo in qual modo si lega agli organi che sono emanazione popolare?
Il potere legislativo e quello esecutivo sono in continua evoluzione e non nello stato di perenne fissità, oserei dire dogmatica e confessionale come il potere giudiziario.
Badate onorevoli colleghi, che la dittatura non è rappresentata soltanto dagli uomini e dai partiti, la dittatura potrebbe essere rappresentata specialmente dal potere giudiziario.
Ne abbiamo fatto ingrata e dolorosa esperienza quando il popolo affermava attraverso le urne il mutamento istituzionale dello Stato Italiano che passava dal monarcato alla repubblica, la repubblica si spegneva nella magra requisitoria di un procuratore generale e nella negazione di alcuni magistrati di Cassazione, ostili all’esempio di libertà e dei tempi nuovi”.
(Alessandro Turco, Caso Massimo Pilotti, Procuratore Capo della Repubblica nel giorno dell’inaugurazione dell’anno giudiziario 1947).
Cosa accadde di così tanto grave nel giorno di inaugurazione dell’anno giudiziario del 1947, da destare una così profonda preoccupazione negli animi dei Padri, tanto da paragonare il Potere giudiziario alla Dittatura?
Le ricerche attraverso le letture divennero più intense e sino ad arrivare a scoprirne non solo i retroscena ma anche le sue conseguenze.
L’elegante Sala era al suo massimo splendore e tutto era pronto per dare inizio al grande giorno. L’evento si ripeteva come ogni anno dal 1876 (anno di istituzione della Corte di Cassazione) e segnava, come tutti gli anni, il buon augurio dei lavori all’intera Magistratura.
Quell’anno l’inaugurazione era particolarmente “sentita” in quanto portava con sé la neo-nascita della Repubblica Italiana.
Era, ed è, compito per ogni Presidente di Cassazione inaugurare l’anno giudiziario.
Quell’anno l’onore di “aprire le danze” spettò al Procuratore Generale Massimo Pilotti il quale, al suo ingresso, si diresse senza volgere lo sguardo a Enrico De Nicola, primo Presidente della neo-nata Repubblica Italiana (carica provvisoria) e né fece alcun cenno dell’avvento della Repubblica nel suo discorso inaugurale.
Apriti cielo!!!
Il comportamento scorretto del Procuratore fece il giro dei Salotti e fu considerato una gravissima offesa al Popolo Italiano.
I Padri lo interpretarono come il non riconoscimento della Sovranità conferita al Popolo, una Sovranità rappresentata da Enrico De Nicola.
In Assemblea si sono riscontrate diverse discussioni che accesero fortemente gli animi e rimisero in discussione il tema dell’indipendenza della magistratura, un’indipendenza vista come un minaccia per il futuro dei Cittadini Italiani.
L’offesa al Popolo fu ben descritta nel Verbale di mercoledì 8 gennaio del 1947 dal Padre Costituente Renzo Laconi in un intervento fortemente sostenuto dal Calamandrei, dal Leoni e dal Cappi.
Ecco come intervenne il Laconi:
“Anche a nome del gruppo dichiaro di trovare deplorevole il comportamento del Procuratore generale della Corte di Cassazione, che in occasione della inaugurazione dell’anno giudiziario, non ha rivolto neppure un saluto al Capo provvisorio dello Stato, presente alla cerimonia, né ha fatto alcun cenno all’avvento della Repubblica”.
Piero Calamandrei rispose che aveva presentato al Ministro Guardasigilli un’interrogazione per sapere quali provvedimenti intendesse prendere al riguardo.
Il presidente Giovanni Leone espresse la speranza che i magistrati italiani sapessero meritare la fiducia della democrazia e della Repubblica.
L’onorevole Cappi considerò il comportamento “imperdonabile”.
Entriamo fedelmente in un ulteriore intervento che dimostra quanto fossero sensibili a questo tema gli animi dei Padri.
Siamo al 6 novembre del 1947 e l’intervento è del Padre Aldo Bozzi:
“Io devo dire che vi è oggi un diffuso stato d’animo contro la Magistratura. Vorrei ricordare, quasi come attestazione autentica, le parole pronunziate in questa Assemblea da uno dei più illustri giuristi viventi e membro autorevole dell’Assemblea medesima, l’Onorevole Piero Calamandrei, il quale, in sede di discussione generale sul progetto di Costituzione, ebbe a dire: «Il Consiglio Superiore della Magistratura che, secondo il progetto proposto da me, avrebbe dovuto essere composto unicamente di magistrati eletti dalla stessa Magistratura, sarà invece composto per metà di elementi politici, eletti dagli organi legislativi. In realtà, chi ha impedito all’auto-governo della Magistratura di affermarsi in pieno non sono stati tanto gli argomenti dei colleghi sostenitori dell’opinione contraria, quanto è stato Sua Eccellenza il procuratore generale Pilotti; la Magistratura deve ringraziare proprio lui dell’ostilità con cui è stata accolta, ecc., ecc.»
Dai Verbali riscontriamo che l’argomento fu ripreso ogni qualvolta si affrontasse il tema autogoverno della magistratura al punto tale che si arrivò a decidere che il Csm non dovesse essere composto da soli magistrati e che il Presidente della Repubblica di turno, proprio per lo sgarbo a lui fatto in quanto rappresentava il Popolo, fosse nominato per presiedere il Consiglio Superiore della Magistratura.
Alla luce dei fatti odierni e di tanto altro che vede spesso i Cittadini vittime di violazioni e ingiustizie sorge spontanea una domanda:
Come reagirebbero oggi i nostri Padri Costituenti alla notizia che il Ministro degli Interni è sottoposto ad indagini dalla Procura di Agrigento per fatti collegati alla spinosa questione immigrazione economica, questione per la quale ha ottenuto il mandato di interromperla dal Popolo Italiano, che per questo lo ha votato?
A tal proposito merita una particolare attenzione il discorso di apertura dei Lavori della Costituente, pronunciato da Vittorio Emanuele Orlando, il 25 giugno del 1946, giorno in cui si insediò l’Assemblea.
Il suo fu un discorso fortemente intriso di Amor Patrio:
“In quest’Assemblea, dunque, il popolo italiano è sovrano, ma, anche, il solo sovrano, l’arbitro assoluto della decisione del proprio destino. Questo è il compito a voi affidato, e che dovrete adempiere con piena libertà di scelta e di decisione, la quale però ha un limite che fu fissato direttamente dalla stessa volontà popolare, con un atto che può qualificarsi di democrazia diretta.
Vi corrisponde una radicale trasformazione del dovere civico essenziale, che è di onorare questo simbolo, di servirlo con assoluta fedeltà e lealtà, come rappresentativo della Patria stessa, al di sopra e malgrado qualsiasi altra opinione o sentimento o ideale che si sia professato o che possa ancora essere professato.
(Vivi applausi).
Questo dovere non nasce soltanto da disciplina verso una legalità formale, verso quello che si suole chiamare l’ordine costituito.
Poiché esso si confonde coi doveri verso la Patria, importa quella devozione appassionata che arriva sino al sacrificio della vita, ogni qual volta contro quel simbolo si addensi un pericolo o sovrasti una minaccia.
Egli diceva, «sono oggi cessate le cause per le quali in altri tempi era debito di ogni Italiano di subordinare le proprie opinioni politiche alla suprema questione dell’esistenza nazionale».
Essa ci mutila, separandoci da genti che sono carne della nostra carne e sangue del nostro sangue;
ci toglie l’indipendenza mettendoci a discrezione di chiunque voglia aggredirci, disarmati entro i confini indifesi;
essa ci spoglia con le riparazioni, mentre siamo nella più catastrofica indigenza;
Frattanto, in questo pericolo mortale che ci minaccia dall’estero, un imperativo categorico si pone verso l’interno: l’unione, la pacificazione, la concordia.
Un appello solenne ne segue, perché ogni italiano, a qualunque partito, a qualunque classe appartenga, ogni risentimento, ogni dissenso, ogni rancore, ogni interesse, ogni pensiero insomma, subordini alla maestà di questo comando:
la concordia nazionale perché si salvi l’Italia, perché viva l’Italia.
Vorrei ardentemente che queste fossero le ultime mie parole, affinché esse restassero impresse con l’autorità austera dell’al di là:
Viva l’Italia!”
(L’Assemblea si leva in piedi. Vivissimi prolungati generali applausi).